Un tema poco dibattuto quando si parla della storia dell’Acciaieria di Terni è quello relativo all’impatto ambientale che l’apertura del grande stabilimento ebbe, fin da subito, sul territorio.

Il colosso industriale fu fondato il 10 marzo 1884 dall’imprenditore veneto Vincenzo Stefano Breda.

La città di Terni, al censimento del 1881, contava 15.773 abitanti.

A quel tempo, si erano già sviluppati diversi opifici. Una buona parte della popolazione viveva però ancora di agricoltura. E molto stretto era il rapporto con il fiume Nera.

Nel 1886, all’acciaieria si accesero per la prima volta i forni. L’anno successivo entrò in funzione il grande maglio da 108 tonnellate.

Si legge spesso di come la costruzione dell’enorme fabbrica provocò lo sbancamento di decine e decine di tombe, scoperte nella cosiddetta necropoli dell’acciaieria, di cui le più antiche databili alla fine del IX secolo a.C.

Non altrettanto è stato però scritto circa gli effetti di quell’impianto sulla natura circostante, almeno relativamente ai primi anni in cui lo stabilimento avviò la sua produzione. Tanto sembrò infatti l’entusiasmo della popolazione di fronte alla prospettiva di Terni proiettata al ruolo di Manchester d’Italia che probabilmente solo alcuni si preoccuparono delle conseguenze della salute. Questo fu ad esempio l’approccio adottato dal periodico L’Annunziatore Umbro-Sabino di Virgilio Alterocca.

Di un certo interesse è allora un articolo pubblicato in data 2-3 luglio 1887 dal periodico L’Unione Liberale, da intendersi probabilmente come la prima pioneristica denuncia in tal senso.

Leggiamo innanzitutto cosa stava capitando con la fauna ittica del fiume Nera:

<<I pesci del Nera non si possono mangiar più. Dopo l’impianto dell’Acciaieria, questa coi rifiuti dei suoi gazoceni ha talmente inquinate le acque del nostro fiume che i pesci di quelle in massima parte emigrarono e quei pochi rimastivi hanno un sapore così disgustoso che sono iningoiabili>>.

Niente più pesca dunque lungo il tratto cittadino del Nera. E cosa invece stava accadendo con chi quelle stesse acque le adoperava per irrigare i campi o addirittura per berle? Vediamo di seguito:

<<Gli oli empireumetici poi derivanti dalla distillazione della lignite aggiungono sapore ed odore nauseabondo alle acque; cosicché non possono bersi a nessun costo; e ciò con danno gravissimo dei campagnuoli limitrofi al fiume, i quali per provvedersi d’acqua potabile fa d’uopo sottostino a sacrifici di fatica, di tempo e di denaro>>.

Mangiare i prodotti della campagna limitrofa all’acciaieria non era quindi più consigliabile. Uno strano fenomeno veniva peraltro segnalato in cielo, dove sembravano essersi dileguate le rondini. Il giornalista dell’Unione Liberale, pur non menzionando direttamente eventuali problematiche per la salute dell’uomo legate alla scarsa qualità dell’aria, lasciò comunque intendere una certa preoccupazione per gli odori sgradevoli. Si legge:

<<È stato pure notato che dopo l’impianto dell’acciaieria sono quasi interamente scomparse anche le rondini alle quali pare non vadano a garbo le esalazioni che infestano l’aria che respiriamo. Poesia a parte, anche questo non sarebbe un bel sintomo>>.

L’Unione Liberale fece dunque appello alla direzione del grande stabilimento affinché, affidandosi alla scienza, avesse potuto trovare, quanto prima, una soluzione al problema. È riportato:

<<E poiché persone assai competenti ci assicurano che facilmente si può coi suggerimenti della scienza e con opportuni preparati chimici sottrarre ai residui della lignite queste sostanze nocive che inquinano l’aere, sarebbe desiderabile che la Direzione generale della Società degli Alti Forni si determinasse a provvedere immediatamente senza provocare l’intervento dell’autorità superiore del Governo>>.

Il periodico ternano sarebbe ritornato sull’argomento già la settimana successiva, pubblicando la missiva di un lettore di cui darò conto nei prossimi giorni in un altro articolo. Dallo stesso numero, datato 9-10 luglio 1887, anticipo semplicemente un’altra problematica che l’inquinamento del Nera aveva provocato. Nella calura estiva ternana, non era più possibile rinfrescarsi nelle acque del fiume. Si legge:

<<Bagni nel fiume non se ne possono prendere: primo perché non tutti son capaci di avventurarsi nei pericoli di un fiume; secondo perché l’acqua del Nera è sporca e fetente per gli spurghi e scoli della signora Acciaieria, di modo che neanche i pesci ci si trovan bene>>.

Ecco pertanto rispolverata una pagina di storia di Terni che si discosta dal clima di generale euforia con cui fu salutata l’apertura della grande Acciaieria. Sarebbe certamente interessante scoprire quali furono i provvedimenti adottati, e magari reperire altre testimonianze circa la stessa materia.

Ringrazio il personale della Sala Farini per il consueto supporto alla ricerca.

Christian Armadori

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *