Lo scopo di questo articolo è riassumere i dati che sono stati fin qui raccolti circa l’area archeologica del Porto Romano di Narni, in modo da consegnare agli studiosi una serie di informazioni su cui ragionare in vista di una definitiva bonifica e valorizzazione del sito. L’interesse scaturisce, in particolare, dai resti che si trovano all’interno di un lungo canale parallelo al fiume Nera, due pareti frontali con una serie di incavi. Tali testimonianze hanno portato ad ipotizzare un antico assemblaggio di imbarcazioni in loco.

Diversi archeologi hanno guardato con interesse a tale lettura. Qualcuno ha parlato di sito che si caratterizza come un vero e proprio unicum archeologico. La notizia ha presto fatto il giro del web. Sempre più spesso ci si imbatte in articoli in cui si legge di cantiere navale di Stifone. In realtà, non essendo mai stata avviata una vera campagna di scavi, persistono ancora degli interrogativi. Ammesso che l’ipotesi di una sorta di arsenale sia pertinente, non sappiamo comunque la tipologia e la grandezza delle imbarcazioni che vi si sarebbero costruite. C’è chi si è sbilanciato richiamando le quinqueremi e triremi romane, chi ha parlato di semplici zatteroni fluviali, e pure chi si è detto scettico rispetto all’intera interpretazione.

LA NAVIGAZIONE DEL FIUME NERA NELL’ANTICHITÁ

Il primo a confermare la navigazione del Nera è il geografo greco Strabone (Geographia V, 2, 10). Nel citare Narni, che ricordiamo conquistata dai Romani nell’anno 299 a.C., egli ci dice che il fiume poteva essere navigato <<con imbarcazioni non di grosse dimensioni>> (lembis non magnis). La Geographia si ritiene pubblicata nell’ultimo scorcio di vita dell’autore, che visse tra il 64 a.C ed il 20 d.C.

IL CONSOLE PISONE SI IMBARCA A NARNI (20 D. C.)

Un evento cruciale per la contestualizzazione storica del sito è relativo al viaggio del console Gneo Calpurnio Pisone, che nel 20 d.C., di ritorno dalle provincie della Dalmazia, una volta giunto a Narni, decise di giungere a Roma seguendo la via fluviale, in modo da non destare sospetti. L’episodio è riportato in Tacito (Annales, III, 9). È da ritenere che Pisone si imbarcò insieme ad un discreto numero di persone. L’autore ci dice infatti che, arrivati a Roma presso la tomba dei Cesari, il console si fece avanti <<tra uno stuolo di clienti>> e sua moglie Plancina <<con il suo seguito di donne>>. Ciò significa che, al porto fluviale di Narni, il console dovette trovare un sufficiente numero di imbarcazioni in grado di effettuare il servizio. Interessante segnalare come Tacito abbia adoperato la parola navem nell’indicare il mezzo con cui Pisone giunse a Roma. Questo è peraltro l’unico passaggio in cui le fonti classiche riferiscono del bacino del Tevere navigato per il trasporto di persone oltre che di merci (Le Gall, 2005).

LA POSIZIONE DEL PORTO

Invito a tenere in considerazione un presupposto essenziale. Il fiume Nera comincia ad essere navigabile solo all’uscita della cosiddetta Gola di Narni, circa 900 metri a valle dell’abitato di Stifone. Non mi sembra pertanto casuale che l’area archeologica sia collocata proprio lì dove la valle si apre. La zona è conosciuta con il toponimo “Le Mole”, in virtù dei numerosi mulini presenti in epoca medievale. Il dato della non navigabilità a monte è confermato dalle numerose rilevazioni tecniche che vennero effettuate all’inizio del 1900, quando si era in progetto di realizzare una via navigabile da Terni a Roma (Antonnicola, 1912; Setacci, 1923). Si faccia attenzione: fuorviante è indicare acriticamente Stifone come sede dell’antico porto. Nessun reperto archeologico inerente ad una simile struttura è stato mai rinvenuto all’altezza del paese.

IN LOCALITÁ LE MOLE I RESTI DEL PORTO

Il primo ad aver individuato la posizione del porto fu il gesuita Fulvio Cardoli nel XVI secolo, di cui riconobbe le vestigia. Scrisse infatti:

<<Esistono anc’oggi, passato il Castel di Taizzano, un tre miglia da Narni, alcune vestigia del porto, dove alfin la Nera, dopo aver lottato strettamente rinchiusa tra mezzo altissimi monti, contro l’impaccio degli scogli e de’ sassi del suo letto, incomincia a sostener le barche, ed ivi veggonsi pure i ferrei anelli impiombati nel vivo sasso, ai quali siccome a palo ferrato legavansi le barche>>.

L’indicazione venne confermata nel 1879 dal marchese Giovanni Eroli, che si era interessato alla questione nel voler dimostrare come il fiume Nera non fosse mai stato navigabile a partire da Terni. Un suo informatore (l’ing. Fabiani) riferì infatti di aver visto, presso le “molina di Montoro”, due grossi pilastri con anelli di ferro che giudicò costruiti per legarvi le barche. Parte di questi reperti sono ancora visibili oggi nell’alveo del fiume, su entrambe le sponde. Se il console Pisone si imbarcò dal Porto fluviale di Narni, tutto lascia pensare che tali testimonianze abbiano almeno 2000 anni.

LE ALTRE INDICAZIONI FORNITE DAL GESUITA

Tra i dettagli segnalati dal Cardoli, ve ne sono anche altri non più individuabili in loco, che riporto al fine di fornire ulteriori indicazioni utili alla decifrazione dell’area. Il religioso, oltre ai ferrei anelli, vide <<lo spazio selciato dove menavasi gran mercato delle cose o da importarsi e da esportarsi>> e <<un antico bagno con le pareti quasi intatte costrutte a opera segnina ed intonaco>>, in corrispondenza di una <<polla di acqua perenne>>. È molto importante tuttavia tenere a mente come il gesuita non fu in grado di fare una ricognizione completa dell’area, in quanto <<alcuni strati di acque stagnanti [impedivano] di farsi innanzi>>.

LA STORIA POPOLARE DELL’ANTICA COSTRUZIONE DI BARCHE

C’è una ragione ben precisa se al momento del rinvenimento del porto alcune sue strutture sono state subito ricollegate all’antica presenza in loco di una struttura cantieristica. Quella della costruzione di barche era infatti una voce popolare che si era tramandata nei secoli, come dimostra una testimonianza pubblicata nel 1924 da Rutilio Robusti, divenuto poi sindaco di Narni e presidente della Provincia di Terni. Scrisse in merito alla frazione di Stifone:

<<L’origine della parola Stifone è greco-pelasgica e servì per indicare una località dove si dovevano costruire e varare delle barche o zattere di legname per essere inviate verso Roma o altrove, per poi servire a costruzioni navali di mole maggiore>>.

L’interpretazione del toponimo può chiaramente lasciare spazio a legittimi dubbi. Rimane comunque innegabile la sua suggestività. Va segnalato come Robusti avesse citato pure l’esistenza di un altro antico scalo fluviale più a valle, nei pressi di San Liberato, detto degli “Scaloni”. L’attendibilità di questa notizia è stata confermata dagli anziani del posto. Il sito è andato tuttavia cancellato con la creazione del lago artificiale.

L’AFFASCINANTE INTERPRETAZIONE DELLO SCULTORE CATANA (ANNO 1958)

L’idea di una struttura collegata alla costruzione di imbarcazioni fu ripresa e sviluppata dallo scultore futurista Alfio Catana. Una sua testimonianza, dal titolo Narnia: la vedetta di Roma, fu pubblicata da Il Messaggero del 26 febbraio 1958. Si legge:

<<L’arsenale fu situato presso le mole di Montoro ed i bacini di carenaggio (tuttora visibili), nel destro ramo del Nar che in quel punto è diviso da una isoletta. Per i chiodami venne usato il ferro della miniera ancor esistente della montagna di Santa Croce; per i remi e le carene il durissimo elce (che al primo urto sfasciava i legni nemici), e per le alberature gli alti tronchi delle conifere. Appena allestite le galee: biremi e triremi venivano varate e pilotate al Tevere fino a Roma, ove venivano completate degli accessori. A decine di migliaia ne vennero costruite per Roma!>>.

Catana elencò poi i vari episodi della storia di Roma che videro la città necessitare di una larga flotta, cominciando dalla Prima Guerra Punica (264-241 a. C.). Secondo la sua lettura, fu proprio il cantiere navale di Narni a fornire nei secoli il più grande contingente di navi. A prescindere dall’oggettività storica di queste considerazioni, è chiaro come lo scultore conoscesse molto bene l’area archeologica, che è appunto contraddistinta dal toponimo Campo d’Isola in ragione dell’isolotto venutosi a creare con il lungo canale artificiale scavato anticamente in loco. Diversi anni più tardi, a un cantiere navale ha fatto riferimento anche Guerriero Bolli (1986 e 1992), stimato studioso locale che ha scritto diversi volumi sulla storia del territorio.

EPISODI STORICI CHE CHIAMANO IN CAUSA L’AREA GEOGRAFICA

Vale la pena innanzitutto ricordare come Narnia, l’antica Nequinum, cadde sotto il controllo dei Romani nell’anno 299 a. C.. Più nello specifico, l’area a ridosso del porto fluviale viene indirettamente richiamata in un episodio dell’anno 207 a.C. narrato da Tito Livio (Ab Urbe Condita, XXVII, 50). Lo storico racconta infatti di come il Senato romano, allo scopo di bloccare un ricongiungimento tra Annibale e Asdrubale, avesse stabilito di piazzare nei pressi di Narni l’esercito urbano. L’accampamento venne posizionato <<all’ingresso della stretta che si apre sull’Umbria>> (in faucibus Umbriae opposita erant). Si ribadisce come i resti del porto siano collocati proprio allo sbocco della stretta gola.

MONTORO VECCHIO

Quasi nessuno ha fino adesso considerato la storia di questo antico paese che sorgeva proprio sull’altura a ridosso del porto, quindi in una posizione fortemente strategica, poiché a controllo del corridoio di ingresso alla gola. I primi riferimenti a Montoro Vecchio, conosciuto anche come Castri Montis o Castel del Monte, sono relativi all’anno 1232, sebbene i sondaggi effettuati dagli archeologi lasciano intendere una sua origine molto antecedente a quella data (Sisani, 2006). Saccheggiato dai Lanzichenecchi nel 1527, quindi abbandonato in seguito ad una pestilenza nel 1591, il paese è stato definitivamente cancellato dai bombardamenti della II Guerra Mondiale. Rimangono i segni di un castelliere con cinta muraria in opera poligonale. Sono dell’opinione che accertare l’epoca della sua fondazione possa costituire un altro tassello importante per la comprensione del quadro. Nel 2007, appena sotto a Montoro Vecchio, ad una distanza di circa 400 metri dal porto, è stata individuata una consistente cisterna, profonda 25 metri ma ostruita da una frana, che gli archeologi intervenuti hanno valutato grande abbastanza per il fabbisogno di un discreto insediamento abitativo. All’interno erano presenti diversi frammenti di ceramica romana, fra le quali alcuni resti di anfore. Nel 2010, sempre a ridosso del borgo disabitato, sono stati scoperti i resti di una chiesa datata al 1300 circa. Insieme alle strutture murarie, sono emersi anche stavolta vari frammenti di epoca romana, tra cui puntali di anfore da vino ed olio, piccoli vasi in ceramica biscotto, manici di anfore e brocche (Lisciarelli e Suadoni, 2010), nonché dell’età del Bronzo. La distanza di questa basilica dalla riva destra del Nera è di circa 300 metri.

GLI ALTRI REPERTI ARCHEOLOGICI RINVENUTI NELL’AREA

In un terreno di proprietà privata, situato lungo la riva destra del Nera appena all’uscita del canale artificiale, sono stati rinvenuti tra il XIX secolo e oggi una serie di reperti tali da fare escludere una semplice casualità. Tutti sono stati ricollegati all’epoca romana. Nel 1850, in località “Orto della Molina”, venne alla luce una stele funeraria dedicata a Gargilius Ianuarius (Eroli, 1858). Nel 1914 furono rinvenuti i resti di una vasca ad uso termale, con muri di opera laterizia poi datati al II secolo d.C. (Giglioli, 1914). Qualche anno più tardi (1937 o 1947) fu recuperato un mosaico a tessere databile all’età imperiale. Nel 1970, dallo stesso lembo di terra da cui derivano i primi due reperti qui indicati, fu recuperata una seconda stele funeraria, dedicata stavolta a Pompeius Sabinus (Monacchi, 1996). Che la zona in prossimità del fiume fosse molto ricercata per le classi agiate dell’epoca viene inoltre confermato da Plinio il Giovane (Epistolarum, I, 4), laddove riferisce di un bagno nella residenza della suocera Pompeia Celerina nel territorio di Narni.

I BOLLI LATERIZI

Non lontano dal porto fluviale, nei terreni attorno all’abbazia di Santo Stefano, furono rinvenuti nel 1859 una serie di bolli laterizi, conosciuti oggi con il nome di figlinae Narnienses. Sulla base della successiva classificazione effettuata dal marchese Eroli, si è stabilito che la produzione laterizia narnese possa accertarsi già dal I secolo d.C. con le officine di T. Sarius Secundus. Essa sarebbe poi continuata almeno all’anno 161 d.C. con i praedia Narnensium a Venere. Molti studiosi sono concordi nel ritenere che questi bolli venissero inviati a Roma tramite la via fluviale, e che le officine si trovassero quindi in prossimità del Nera. Tale interpretazione si ritrova in Pietrangeli (1941), Mansuelli (1973), Tomei (1983), Bertelli (1985) e Quilici (1986).

LA VIABILITÁ VERSO IL PORTO

Nel ridisegnare l’antica viabilità tra Narni ed il porto, tornano ancora utili le parole del gesuita Cardoli dove affermò: <<Dilungandosi circa un miglio della città e fuori di porta Romana, osservasi a destra della via Flaminia nel fianco del monte, che presso l’edicola dell’Annunziata sovrasta al fiume, impressa nei sassi una rotaja: imperocché esiste lungo il dorso del sassoso e scosceso monte una via larga ben arginata da potervi insino al detto porto trasportare a carri le merci e i frutti raccolti dai campi e altre cose da traffico per poi caricarne le barche>>.

DESCRIZIONE DELL’AREA ARCHEOLOGICA

Non mi soffermo qui sui reperti visibili all’interno dell’alveo fluviale, nell’idea si sia ormai giunti ad un accordo circa la loro attinenza con le vestigia citate dal Cardoli. Piuttosto, è sulle strutture presenti nel canale parallelo al fiume stesso che voglio puntare i riflettori. Lo scavo presenta misure imponenti, ed è ricavato per buona parte da un taglio di netto a una roccia molto dura. Nessun autore aveva mai fatto cenno a tale opera, probabilmente celata al Cardoli dalle acque stagnanti.

Il canale misura 280 metri in lunghezza, 16 metri in larghezza e circa 6 metri in profondità (ci sono un metro e mezzo di sedimenti nella parte di maggiore interesse). All’interno di esso si trovano due pareti, di cui una quasi intatta. Esse presentano una serie di incavi a forma quadrangolare, disposti su tre file, piuttosto regolari e simmetrici sui due lati, che si estendono per circa 13,5 metri da un lato all’altro. In totale, si presume che di tali incavi se ne potessero calcolare 60, almeno stando alle indicazioni che è possibile ricavare dalla parete sostanzialmente integra (l’altra è in parte crollata o interrata). Sono proprio questi incavi che hanno favorito lo sviluppo dell’ipotesi di una struttura riferibile ad un cantiere per la costruzione di imbarcazioni. Essi avrebbero infatti alloggiato dei sostegni lignei posti a contrasto con lo scafo in costruzione, pratica che, seppure con modalità differenti, si ritrova nella costruzione navale di epoca antica e moderna. La sezione triangolare degli incavi lascia intendere il sostegno di elementi dal basso verso l’alto. L’archeologo Simone Sisani, che in più occasioni ha effettuato dei sopralluoghi, ha definito il canale <<un unicum archeologico che conserva tuttora la sua monumentalità>>, ritenendolo pertinente <<ad un cantiere navale Romano per la fabbricazione di imbarcazioni di grossa stazza>> (2013).

Secondo una carta catastale della metà del XX secolo, il canale era in origine collegato al fiume sia a monte che a valle. La costruzione di mulini lungo la parte finale, che vengono riferiti all’epoca medievale, ha tuttavia modificato l’uscita del canale stesso, mentre l’apertura a monte è stata murata con la costruzione di un ponte lungo la sovrastante Via Ortana. In questo punto è interessante segnalare la presenza nell’alveo fluviale di grossi blocchi in pietra ubicati proprio all’imbocco del canale. L’idea è che esso venisse allagato per permettere l’uscita degli scafi.

L’IDEA DI UN CANTIERE NAVALE

Quando nel 1969 il prof. Alvaro Caponi (docente di storia dell’arte con la passione per l’archeologia) si è imbattuto in quei resti, li ha subito ricollegati alla voce popolare di cui ho riferito prima. Caponi ha quindi elaborato una serie di interessanti bozzetti che mostrano come, a suo parere, doveva essere il funzionamento di tale struttura. Il carattere amatoriale della scoperta si è poi arricchito negli ultimi anni del necessario supporto bibliografico. Anche il sottoscritto, nel ruolo di studioso di storia locale, si è voluto cimentare con l’argomento, su sollecitazione dell’amico Claudio Maturi. Le informazioni riportate in questo articolo sono appunto tratte dal mio volume Il porto di Narnia e il cantiere navale romano sul fiume Nera (Quasar, 2012, 2013). Ammetto di essermi anch’io lasciato in qualche modo affascinare dalle storie che chiamavano in causa le battaglie condotte da Roma sul mare durante i tempi delle Guerre Puniche. Ribadisco come vi siano 16 metri di distanza tra una parete del canale e l’altra. Se barche vi furono costruite, queste dovevano essere a mio parere anche di una certa consistenza, viste appunto le misure. Fatico a credere che un tale sbancamento fosse stato realizzato solo dietro alla necessità di provvedere delle zattere fluviali. Non dimentichiamo peraltro l’abbondanza di legname ricavabile dai boschi circostanti.  Il mio contributo, ben lontano dal voler dare una spiegazione definitiva, voleva essere piuttosto di stimolo per suscitare l’attenzione della comunità scientifica rispetto ad un sito che giace ancora nel totale abbandono.

LE LETTURE DIVERGENTI

Due sono sostanzialmente le letture che sono state proposte come alternative all’ipotesi di un cantiere navale. La prima è quella che ricollega tali incavi ai sostegni di un ponte in legno, o alle centine lignee per la costruzione di un ponte in muratura. Tale interpretazione scaturisce dalla presenza di incavi analoghi presso altri ponti del narnese. Il posizionamento di puntelli era quindi una tecnica diffusa nell’antica costruzioni di ponti sul territorio. Nessuno di essi presenta tuttavia un numero così alto di incavi alla base, neppure il maestoso e celeberrimo Ponte di Augusto. Ho avuto modo di vedere alcune immagini della manutenzione effettuata nel 1933 al ponte del Lecinetto, poco più a monte, che presenta a sua volta fessure sui piloni laterali. Da esse risulta evidente quanto uno o due soli puntelli per lato potessero bastare allo scopo, almeno nelle operazioni di rinforzo. Il canale artificiale oggetto di questo articolo di sostegni laterali poteva ospitarne invece una sessantina, peraltro molto ravvicinati tra loro. Considerato inoltre lo spazio in orizzontale che intercorre tra le fessure (13,5 metri), tale ipotetico ponte doveva essere dunque piuttosto consistente. Tuttavia, non si spiegherebbe perché si fosse optato per una struttura tanto robusta per scavalcare il solo canale, e non anche il fiume. Negli anni scorsi, l’ingegnere narnese Giuseppe Fortunati, con il supporto del prof. Claudio Mocchegiani Carpano, aveva provato a verificare la possibilità che un eventuale ponte avesse proseguito fino alla sponda sinistra del fiume. Rimane comunque incerta la funzione del canale (posto sulla riva destra), e perché si fosse deciso appunto di scavarlo se poi si è avuta la necessità di doverlo superare con un ponte. Lecito credere che esso fosse stato utilizzato anche per il rimessaggio delle imbarcazioni, al riparo dalle turbolenze del Nera.

La seconda lettura, che sembra a sua volta difficile da provare, chiama invece in causa i numerosi mulini che sorgevano nell’area, e di cui vi sono ancora i resti nella parte finale del canale, alimentati dalle sorgenti d’acqua presenti in loco. Anche ammesso che il canale fosse stato funzionale a questa industria, non è chiaro quale fosse lo scopo degli incavi presenti alle pareti. Si è peraltro concordi sul fatto che i mulini siano da riferirsi all’epoca medievale. Le testimonianze archeologiche rinvenute nell’area dimostrano invece come l’insediamento sia piuttosto di origine romana.

LO STATO ATTUALE DELL’AREA ARCHEOLOGICA

Si è detto come l’area archeologica sia ancora in una situazione di abbandono. Essa è di proprietà dell’ENEL e ricade nel territorio del Comune di Narni. Più volte l’associazione culturale Porto di Narni, approdo d’Europa, di cui sono presidente, ha sollecitato questi due soggetti affinché si fosse trovata una soluzione per la gestione di quel terreno. Proprio la collaborazione tra l’amministrazione comunale e il colosso dell’energia ha portato in passato ad effettuare delle operazioni di disboscamento, sempre su sollecitazione di noi volontari. La Sovrintendenza dell’Umbria, pur conoscendo in linea di massima la questione, non ha fatto mai nulla di concreto per approfondirla. Un’ulteriore difficoltà è rappresentata dal fatto che la presenza di dighe a monte renda l’area soggetta al rischio di piene improvvise. L’integrità dei resti archeologici inseriti nel canale risulta peraltro a forte rischio: una condotta di scarico va infatti a sfociare proprio all’interno del bacino, rendendolo un acquitrino melmoso dove è impossibile poter effettuare delle rilevazioni. Le due pareti risultano completamente inghiottite dalla vegetazione (vedi foto sotto). Non sembra pertanto un caso che gli archeologi che hanno avallato l’ipotesi di una cantiere navale siano proprio quei pochi che il sito hanno avuto la fortuna di vederlo disboscato, potendo con i loro occhi valutare l’imponenza dell’opera idraulica realizzata con lo scavo del canale.

CONCLUSIONI

Negli ultimi anni, dopo la realizzazione del percorso ciclo pedonale delle Gole del Nera, tutto il tratto di fiume compreso tra il ponte di Augusto e la zona de Le Mole ha conosciuto un forte sviluppo. Da questo sentiero di estremo interesse storico naturalistico è rimasta fuori solo la zona dell’antico porto fluviale, che pure andrebbe a costituire un tassello di pregio se adeguatamente valorizzata. Il Comune di Narni, con il quale siamo in un rapporto di proficua cordialità, condivide adesso con noi la necessità di trovare un equipe di archeologi che siano disposti ad effettuare degli scavi, meglio se in ambito universitario. Voglio allora chiudere il discorso con le considerazioni dell’archeologa Laura Peruzzi, che nel 2013 si era interessata all’argomento, trovandomi con lei pienamente d’accordo sulla necessità di bonificare prima l’area, risultando altrimenti impossibile poter finalmente ad arrivare a delle spiegazioni attendibili e condivise. Afferma:

<<Si deve ricordare che la zona non è mai stata oggetto di indagini archeologiche né di prospezioni, ma solo di ricognizioni, e di rilievo topografico delle strutture in occasione di una ripulitura della zona dalla fitta vegetazione. Prima di qualsiasi altra argomentazione, appare indispensabile un’adeguata indagine archeologica della zona, fra l’altro interessata da numerose altre testimonianze di epoca romana>>.

L’ultima volta che l’area è stata parzialmente ripulita risale al maggio 2019.

Christian Armadori

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